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Sud e Nord: Democratici eminenti

Maccanico Antonio - Lacaita Manduria, 2005

Premessa

La storia è opera dei popoli, delle loro articolazioni sociali, delle classi, delle città e comunità, della creatività dei singoli: tra questi, soprattutto in fasi particolarmente delicate, emergono delle personalità che assumono un ruolo di guida, una esemplarità intellettuale e morale che diventa punto di riferimento, una bussola per orientarsi e uscire dalle crisi.
Di alcune di queste figure che hanno notevolmente inciso nella vista sociale, economica e politica dell'Italia repubblicana si è occupato, in commemorazioni, discorsi, articoli, Antonio Maccanico, con una speciale sympatheia, derivante, spesso, da una consonanza di ideali, di cultura e di stile di vita.
V'è un filo che collega queste personalità, tanto da poter, a buon diritto, definire, desanctisianamente, "scuola democratica" la complessiva opera di questi protagonisti.
Maccanico ne è stato testimone privilegiato e, per molti aspetti, si può considerare co-autore di quella stagione, per i cruciali ruoli istituzionali svolti e, quindi, per l'autorevole e diretto impegno politico lungo analoghi percorsi.
I personaggi, dunque, sono "visti da vicino", con uno sguardo penetrante, che cerca di cogliere l'essenza della loro opera e lezione, senza pretese di storiografia biografica.
Sono italiani del Sud, del Centro, del Nord, animati da un profondo spirito risorgimentale, con una concezione unitaria dello Stato (quindi, implicitamente meridionalisti) che, a partire dall'immediato dopoguerra, di dedicarono a ricostruire moralmente, politicamente ed economicamente il dilacerato tessuto di un Paese sconfitto e smarrito. C'è, in alcuni di essi, una comune cifra politica nell'adesione a quel partito d' Azione che raccolse, nei primi anni '40, le più fervide e talvolta animose speranze di riscatto democratico.
L'ambizione di un alto progetto etico-politico, capace di portare a compimento gli ideali inattuati dell'Italia risorgimentale, di promuovere la crescita culturale e civile del Paese, di imprimere vigore e rigore nelle classi dirigenti si scontrava con la realtà storica e partitica uscita dal dopoguerra. Breve e fragile fu, appunto, la vita del Partito d'Azione.
La visione politica racchiusa nel suo programma non riuscì ad incontrare il consenso di ampi strati sociali, né fu in grado di dare vita ad una robusta e resistente forza politica, tuttavia restò ricca di suggestione e ispirò una èlite politica e intellettuale che ha esercitato un influente ruolo nella Repubblica italiana.
Maccanico, ricordando Ugo La Malfa, Michele Cifarelli, Norberto Bobbio, sottolinea, giustamente, il valore di quella iniziale sperimentazione politica che diventò poi abito individuale di militanti in altre esperienze di partito, come quella repubblicana che ne raccolse la maggiore eredità.
Maccanico non è osservatore distaccato; v'è, anzi, un personale coinvolgimento. Egli sentì la passione di quella stagione, ma ciò nulla toglie alla validità delle sue considerazioni. Anche qualche enfasi sul ruolo, per esempio, del Partito d'Azione, definito il principale artefice della vittoria repubblicana, ha un certo fondamento. Comunque, queste accentuazioni, mai settarie, rivelano la permanenza nell'animo di Maccanico degli ideali, intensamente vissuti in gioventù, nell'ambiente avellinese di Guido Dorso, e in parti assorbiti dalla specialissima influenza dello zio Adolfo Tino, un "socratico" e anomalo personaggio che poco affidò agli scritti e moltissimo alla sua attività di banchiere e ai suoi conversari, come ricorda appunto Maccanico. La figura di Tino è legata a quella di Ugo La Malfa, un altro incontro decisivo nella vita di Antonio Maccanico.
Del futuro leader repubblicano egli traccia un nitido profilo nelle sue ascendenze culturali e politiche da Mazzini a Cattaneo a Salvemini, nella sua concezione di una "religione civile" come fondamento spirituale della nazione, nella visione coerentemente europeista, come solido ancoraggio dei valori di libertà e di democrazia occidentale.
All'europeismo La Malfa affidava anche il riscatto del Mezzogiorno, come significativamente sottolineò nel primo numero della celebre rivista Nord e Sud di Francesco Compagna. Di questo fervido e attento meridionalista napoletano, Maccanico delinea un affettuoso ritratto, mettendo, quindi, particolarmente in luce la sua vigorosa polemica contro la demagogia di sinistra e contro la disgregazione dell'Italia provocata da un miope e approssimativo "panaregionalismo". L'approdo di Compagna al PRI inseriva in quel partito una originale ispirazione liberale che proveniva da un crocianesimo liberato dai riflessi tradizionalistici e rivisitato sui problemi del tempo, come la "questione meridionale", e quindi proteso al rinnovamento morale e politico del Paese. Era questo un aspetto particolarmente presente e vivo nell'impegno di Michele Cifarelli, una rara e coerente figura di antifascista, il cui rilevante ruolo, soprattutto nella prima fase post-fascista nel Mezzogiorno, si va sempre più definendo nella storiografia di quel periodo. La recente pubblicazione dei suoi taccuini getta nuova luce sugli eventi di quella convulsa epoca che lo vide protagonista.
Nella evocazione di Maccanico la figura di Cifarelli si intreccia con vicende delle sue prime esperienze di militante che conosce anche il carcere per l'opposizione alla continuazione della guerra dopo la caduta del fascismo. Maccanico dichiara la sua ammirazione per il giovane esponente azionista che, nel '44, aveva organizzato a Bari il primo congresso del CLN dell'Italia liberata, e così afferma:"tra personalità di fama e di prestigio del vecchio antifascismo prefascita come Guido Dorso, Carlo Sforza, Alberto Cianca, che incutevano in noi tutti rispetto e deferenza e che ascoltavamo con commozione, mi colpiva Michele Cifarelli, il più giovane, il più determinato, il più dinamico, il più cordiale, la voce per me più nuova ed eloquente", e quindi così continua: "quasi intuivo in quest'uomo di soli dieci anni più anziano di me una tensione etica ed ideale particolare, una lucidità di visione che apriva orizzonti nuovi, suscitava fiducia, dava certezze". Un'analoga sintonia spirituale e culturale riaffiora nel ricordo commemorativo di Giovanni Spadolini.
Ma in quella occasione Maccanico si sforza, in modo particolare, di chiarire il contesto storico-politico nel quale si inserisce l'opera dello statista fiorentino. Sono gli anni critici che vanno dal '70 al '90, segnati da pericolosi eventi sociali ed economici, da permanente instabilità politica, da minaccioso terrorismo, mina vagante nel cuore della nostra democrazia.
E' in questa difficile situazione che si sviluppa l'opera mediatrice di Giovanni Spadolini per ricreare le condizioni di governabilità del sistema, una preoccupazione che lo induceva ad accettare, come sottolinea Maccanico, pur nel rifiuto del "compromesso storico", una limitata intesa su un programma di governo con il PCI.
E' ancora Spadolini, con la sua storia personale, politica e culturale, ad affrontare, dopo la scoperta della P2, un difficile e intricato momento con l'assuzione della Presidenza del Consiglio che interrompeva la ultratrentennale guida della Democrazia Cristiana. Maccanico ne ripercorre l'azione intensa, pur in un periodo di breve durata e ne riassume la complessiva lezione che si ispirò al rigoroso rispetto della Costituzione alla difesa del ruolo del Parlamento, al robusto rilancio delle istituzioni europee.
A conferma voglio qui evocare un ricordo personale quando, da Ministro della Difesa, consentì ad una mia richiesta, in qualità di Presidente della delegazione italiana al Consiglio d'Europa e all'UEO, di celebrare una importante ricorrenza europea con l'invio a Strasburgo della Banda dei Carabinieri. Il successo fu enorme. Le esecuzioni musicali, dinanzi al Palazzo del Consiglio, alla Cattedrale e poi in Piazza Klèber e nell'Auditorium suscitarono lo stupore della città e l'emozione di tanti italiani emigranti convenuti per la straordinaria occasione. Come ricorda Maccanico, Spadolini era allora impegnato nel rilancio della UEO come pilastro europeo dell'Alleanza Atlantica. Quando gli parlai del successo dei Carabinieri e della commozione degli emigranti, commentò con parole che avevano il sale della storia e il sentimento vivo della Patria.
Di Norberto Bobbio, Maccanico coglie, in poche frasi, il nucleo vitale del suo insegnamento: "rigore logico non condizionato da promesse fideistiche, ma soprattutto come propensione al dubbio, il dubbio proprio dell'ethos e del sapere". Anche Bobbio apparteneva a quella schiera di personalità che tentarono l'impresa non riuscita, ma non per questo infeconda del Partito d'Azione.
Quella breve militanza politica, sottolinea Maccanico, fu comunque decisiva anche per gli orientamenti dello studioso, maestro indiscusso di varie generazioni e di vari orientamenti, a dimostrazione della funzione feconda della cultura nell'ambito di una politica che voglia e sappia essere lungimirante.
L'"azionismo" fu, dunque, fonte costante della elaborazione dottrinale di Bobbio e causa degli amori e odi verso la sua persona; ma egli ebbe sempre dalla sua parte, come orgogliosamente ribadisce Maccanico, l' "Italia", che Spadolini definiva "della ragione".
L'occasione offre a Maccanico lo spunto per chiarire un problema storiografico che gli sta particolarmente a cuore e cioè: "che cosa fu questo partito di Azione, che nato nel luglio del '42 si sciolse nel febbraio del '46".
E' questa una parte significativa della sua commemorazione di Bobbio, anche perchè, in certo senso, corregge e puntualizza la stessa autocritica dello studioso con una più esatta valutazione del periodo della ricostruzione democratica dell'Italia precedente al centrosinistra.
L'analisi di Maccanico procede con una chiave di lettura particolarmente equilibrata, dove la pur alta considerazione per lo studioso torinese non si trasforma in acritica celebrazione, ma resta sempre sorvegliata e serena valutazione della sua dottrina e delle vicende politiche del tempo.
A Salvatore Cafiero, Maccanico dedica un ricordo di grande intensità.
A ragione egli sottolinea la semplicità e la originalità del personaggio che sembra immerso in un unico, totalizzante scopo di vita: il Mezzogiorno. "Quella che egli riteneva fosse la vera missione dello Stato unitario", scrive Maccanico, il Sud, appunto, "divenne l'impegno esclusivo della sua esistenza".
Ma in questa passione si riversava una grande cultura, la continuità di una straordinaria lezione economica e storica attinta da Pasquale Saraceno e da Gaetano Salvemini, e una formidabile capacità di elaborare progetti e di concepirne l'organizzazione che noi dell'ANIMI abbiamo sperimentato durante la sua purtroppo breve presenza nel Consiglio direttivo.
Maccanico ricostruisce l'articolata e complessa visione meridionalista di Cafiero, le sue speranze e le sue delusioni, con puntigliosa accuratezza, per poi concludere sull'attualità delle sue indicazioni in un momento nel quale l'Italia dovrà darsi un ordinamento più marcatamente autonomistico e policentrico.
" Più ancor che in passato", commenta Maccanico, "si può dire con Cafiero, la politica per il Mezzogiorno dipende da un assetto sano dei rapporti tra partiti, istituzioni e strutture amministrative".
E' appunto, su questo aspetto della "salute" delle istituzioni, della loro armonia, di una politica che guardi lontano e sia ben ispirata e rigorosa nei comportamenti che si gioca il futuro dell'Italia e del Sud.
Sotto questo profilo i personaggi ricordati da Maccanico ci interpellano e ci sfidano a continuare un'opera rimasta incompiuta, ma di cui essi contribuirono a porre le fondamenta, con speranze invero superiori alle mete raggiunte.
V'è una corrispondenza di fondo tra questo filone e l'ispirazione che dette vita all'ANIMI. Non è un caso, peraltro, che alcuni di essi, come Compagna e Cafiero, siano stati partecipi della vita dell'Associazione e Michele Cifarelli ne è stato a lungo illuminato Presidente.
Accogliendo questi profili di "democratici eminenti" ricordati da Antonio Maccanico nella "Collezione di Studi Meridionali" fondata da Zanotti Bianco, abbiamo voluto evitare una dispersione che avrebbe occultato la forza di un pensiero e di una prassi che fu scuola di democrazia e che richiama ancora la cosiddetta seconda Repubblica a non smarrirsi nell'improvvisazione istituzionale, nell'avventurismo personalistico, nell'incultura dell'azione, nella disinvoltura dell'ethos civile e politico, a conservare, infine, amore per la Patria e per l'Europa.

P. S.
Alle personalità eminenti ricordate da Antonio Maccanico si è aggiunta la recente commemorazione di Francesco Cingano. È parso un logico completamento, malgrado il presente volumetto fosse già in avanzato stato di elaborazione, inerire anche questa attenta rievocazione di un grande banchiere che si collega, per molteplici aspetti, allo stesso filone culturale dei personaggi prima ricordati.
Antonio Maccanico riporta alla memoria ambienti e atmosfere intellettuali di quella fervida stagione che ispirò ambiziosi progetti e animò una grande tensione morale nella ricostruzione dell’Italia. Nel ricordo di Cingano ritorna il leit motiv, che affiora in tutti gli approcci biografici di Maccanico, che una grande professionalità, appunto, ha il suo “solido fondamento” soprattutto in “una forte coscienza civile e politica”.

Gerardo BIANCO

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