Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d'Italia
Collezione di Studi Meridionali
Michele Affinito, Prefazione a: Gaetano Salvemini-Walter Toscanini. - Studi Meridionali (Lacaita, 2007)
Introduzione
La storia degli esuli (…) non si può considerare come un’appendice della storia italiana del ventennio, ma come parte integrante di essa.
La qualità di esule o di fuoruscito non è né un dato omogeneo della biografia di una parte considerevole della classe dirigente italiana, né qualcosa che divida nettamente questa in campi diversi seconda che vi sia oppure no appartenuto.
(…) Prima e dopo di essere esuli, molti […] furono rappresentanti del popolo e uomini di governo, prigionieri politici,e cospiratori, uomini di azione e di cultura.
(Aldo Garosci - Prefazione al volume Bibliografia degli esuli politici sotto il fascismo, di Spinetti Gastone Silvano, Ediz. di Solidarismo, Roma, 1959)
Il carteggio tra Gaetano Salvemini e Walter Toscanini fornisce elementi di novità rispetto alle dinamiche interne, nonché dei motivi di contrasto e delle profonde divergenze, che animarono il variegato mondo dei fuoriusciti italiani presenti negli Stati Uniti. Se da un lato, aggiunge poco all’attività pubblicistica ed alle battaglie che Gaetano Salvemini ha condotto oltreoceano, dall’altro ha il pregio di far emergere la figura di Walter Toscanini, personaggio poco studiato del fuoruscitismo antifascista, e l’attività politica che svolse in America il padre, Arturo Toscanini.
Sul periodo e sull’esperienza dell’emigrazione democratica antifascista esiste una vasta memorialistica (1), nonché una copiosa produzione storiografica (2), che, in particolare a partire dagli inizi degli anni ’80, ha contribuito a fornire un’ampia ricostruzione delle vicende che hanno interessato gli esuli presenti in America negli anni ’30 e ’40 del secolo scorso.
Si ricorderà che la colonia degli antifascisti presenti negli Stati Uniti era composta da personalità quali Carlo Sforza, Gaetano Salvemini, Arturo Toscanini, Giuseppe A. Borgese, Giuseppe Lupis, don Luigi Sturzo, Randolfo Pacciardi, Amalia Rosselli, Bruno Zevi, Max Ascoli, Ambrogio Donini, Armando Borghi. Nel suo La mia battaglia da New York, scrisse don Luigi Sturzo, «gli antifascisti in America erano disuniti, critici gli uni degli altri, divisi secondo i vecchi partiti in socialisti, comunisti, liberali, azionisti e democristiani (3)». Tale constatazione emerge in modo evidente dalle missive presenti in questo volume.
Gaetano Salvemini vi si stabilì nel 1933, quando fu chiamato a ricoprire il ruolo di docente ad Harvard, dove fu appositamente istituita per lui la cattedra in Storia della Civiltà Italiana per volontà di Ruth Draper, vedova di Lauro De Bosis.
Nel 1927, su La Libertà, organo della Concentrazione antifascista di Parigi, Salvemini aveva scritto che «nelle due Americhe risiedevano alcuni milioni di italo-americani in mezzo ai quali gli esuli avrebbero potuto svolgere un’utile opera di educazione politico democratica». Si trattò, come ricorda Enzo Tagliacozzo, di un’illusione di breve durtata, “perché ben presto dovette convincersi che la maggioranza degli italo-americani erano o politicamente indifferenti e interamente occupati nella lotta per guadagnarsi il pane, o influenzati dalla propaganda fascista svolta attraverso la radio, i giornali di lingua italiana, le scuole ove s’insegnava la nostra lingua (4)”.
Ciononostante, negli anni d’America Salvemini condusse con tenacia la sua battaglia di oppositore del fascismo, divenendo una delle voci più influenti del fuoruscitismo italiano, e rendendosi promotore di numerose iniziative associative ed editoriali volte ad evidenziare e condannare il carattere totalitario del regime fascista.
Le lettere coprono gli anni 1943-1948, e pertanto hanno ad oggetto momenti salienti del secondo conflitto mondiale e dell’immediato dopoguerra in Italia. Il governo Badoglio, l’8 settembre, la condotta alleata nei confronti dell’Italia trovano ampio spazio nelle riflessioni che i due autori si scambiano attraverso questo fitto carteggio. Di fronte a tali eventi, un’unità d’azione degli esuli non si realizzò, e la divergenza delle rispettive posizioni esplose in modo significativo, sfociando in alcuni casi in animate polemiche che videro scontrarsi alcuni tra i principali protagonisti del fuoriuscitismo italiano negli Stati Uniti.
Tuttavia, l’impegno e l’attività che gli esuli svolsero nelle Americhe rappresentò un grande esempio di lotta e di condanna dell’esperienza fascista, nonché una profonda e costante testimonianza della battaglia di civiltà che gli esuli condussero negli Stati Uniti, attraverso una significativa ed appassionante campagna di sensibilizzazione sull’opinione pubblica americana nel periodo in questione sulle vicende italiane, che culminò in importanti iniziative politiche e benefiche di cui si resero artefici.
In particolare, tale ruolo fu svolto da Arturo Toscanini (5), direttore d’orchestra, emigrato negli Stati Uniti nel 1938, che divenne una icona dell’opposizione al fascismo. In realtà, come molti altri che più tardi avrebbero odiato Mussolini, egli era stato “in un primo momento favorevolmente impressionato (6)” dalla sua figura. Era rimasto positivamente colpito da un suo comizio tenuto a Milano nel 1919, e aveva riposto tale fiducia nel suo programma al punto da candidarsi alle elezioni politiche del novembre del 1919 nella lista dei Fasci di Combattimento a Milano.
Tuttavia, nel momento in cui avvenne la svolta autoritaria della politica fascista e Mussolini pose le basi per la costruzione del regime totalitario, Toscanini divenne un convinto antagonista della sua politica, e non mancò mai di manifestare il suo dissenso nei confronti del regime. Emblematico in tal senso quanto accadde il 14 maggio del 1931 a Bologna, allorquando rifiutandosi di dirigere l’inno Giovinezza ad un concerto che si teneva al Teatro Comunale, fu violentemente aggredito da un gruppo di fascisti (7). Come ricorda il biografo di Toscanini, Harvey Sachs, «l’incidente provocò uno scandalo internazionale, mise in imbarazzo il governo Mussolini e convinse Toscanini che non avrebbe dovuto lavorare in patria finché il regime non fosse stato sconfitto (8)». Ed infatti, negli anni successivi a tale evento, Toscanini non diresse alcun concerto in Italia, e vi ritornò soltanto per trascorrere le vacanze presso la sua villa estiva di S. Giovanni sul Lago Maggiore, che divenne un punto di ritrovo per artisti ed intellettuali antifascisti. Nel 1938, gli venne ritirato il passaporto per aver condannato la politica antisemita del regime ed averla etichettata “come roba da medio evo”. Ma nello stesso anno, era previsto un suo concerto negli Stati Uniti. L’ambasciatore Fulvio Suvich intercesse con Mussolini perché venisse restituito a Toscanini il passaporto, al fine di evitare uno scandalo mondiale e prevenire una reazione dell’opinione pubblica americana (9). Dopo vari tentennamenti, Mussolini fu costretto a cedere ed Arturo Toscanini poté partire alla volta degli Stati Uniti, dove poi si stabilì definitivamente, insieme alla moglie Carla De Martini ed al figlio Walter, che si trasferì con la moglie, la ballerina Cia Fornaroli ed il loro figlioletto Walfredo.
Nato il 21 marzo 1898 a Torino quando Arturo ricopriva il ruolo di direttore del Teatro Regio, Walter deve il suo nome ad un omaggio del padre ad Alfredo Catalani, da poco scomparso, che aveva così chiamato il protagonista maschile della sua opera Loreley (10). Bibliofilo e collezionista di libri rari ed antichi, si dedicò a questa sua passione aprendo con alcuni soci una libreria nel 1921, chiamata Bottega di Poesia, al numero 14 di via Montenapoleone a Milano, la quale divenne ben presto uno dei centri culturali della città, dove si incontravano personaggi di prim’ordine del mondo culturale ed intellettuale nazionale, tra i quali Gabriele D’Annunzio ed Elenora Duse che ne furono assidui frequentatori.
Tra le inziative promosse dalla Bottega di Poesia, vi era la pubblicazione di un bollettino intitolato Libri da Leggere, dove venivano promosse le novità editoriali e le recenti acquisizioni della libreria. Nel 1924, quando fu emanata da Mussolini la legge che impediva la libertà di stampa, Walter riportò la notizia sulle pagine del suo notiziario. Tale scelta non fu condivisa dal presidente della società, il conte Emanuele Castelbarco, il quale desiderava evitare di entrare in polemica con il regime. A distanza di un anno, Walter si congedò dalla Bottega di Poesia ed aprì un nuovo negozio di libri rari ed antichi nella Galleria De Cristoforis, oggi distrutta.
Il rapporto di Walter con Mussolini ripercorre in linea generale la parabola politica vissuta da Arturo. Nel corso del primo conflitto mondiale aveva servito la nazione come volontario, e, come numerosi altri giovani soldati che avevano provato quell’esperienza, aveva vissuto con profonda delusione le conseguenze del conflitto. Nell’immediato dopoguerra, su di lui, come accaduto ad Arturo, avevano fatto presa i proclami ed i programmi politici del primo Mussolini, del quale era divenuto un simpatizzante, ed aveva aderito tra l’altro all’organizzazione degli Arditi.
Tuttavia, anche Walter ben presto prese le distanze da Mussolini e divenne un fiero oppositore del fascismo, posizione che pagò a caro prezzo. La futura moglie Cia Fornaroli fu rimossa dal ruolo di prima ballerina de La Scala nel 1932 a causa del suo legame con Walter, il quale a sua volta dovette rinunciare alla sua attività alla casa editrice Mondadori, dove era stato assunto una volta conclusa la sua esperienza con il negozio di libri antichi.
Nel 1936, come testimoniato dai documenti presenti nell’Archivio Mondadori (11), Arnoldo Mondadori ricevette pressioni perché Walter venisse rimosso dal suo lavoro a causa della sua dichiarata attività antifascista. In realtà, per non danneggiare il nome di Arturo, l’editore gli chiese di trasferirsi in Svizzera e continuare da lì a lavorare per la casa editirice, ma di fronte al suo rifiuto fu costretto a chiedergli di rassegnare le dimissioni ed a rinunciare alla sua collaborazione.
Trasferitosi negli Stati Uniti con l’intera famiglia, Walter trovò un impiego alla Radio Corporation of America (RCA), grazie all’intervento del suo presidente David Sarnoff, che aveva creato per Arturo la NBC Symphony Orchestra, attraverso la quale poté far conoscere l’arte del Maestro Toscanini a milioni di americani.
Nel corso della sua esperienza americana si legò profondamente con gli ambienti del fuoriuscitismo antifascista negli Stati Uniti. Nel 1939 fu tra i fondatori della Mazzini Society, l’associazione che raccoglieva gli antifascisti negli Stati Uniti sorta principalmente «per informare il pubblico americano sulle condizioni reali dell’Italia sotto il regime fascista (12)», partecipando in tal modo ad un’intensa ed appassionata attività antifascista.
La figura di Walter Toscanini risulta essere una delle meno esplorate della folta comunità degli esuli antifascisti in America. La sua figura fu in un certo senso oscurata dall’ombra del padre e dal clamore che la personalità di questo aveva in ogni sua manifestazione.
In una lettera inviata a Gaetano Salvemini il 14 dicembre 1943, Randolfo Pacciardi, riferendosi al tentativo di persuadere Walter ad assumere la direzione di Italia Libera e la guida del Comitato Free Italy, diceva di lui:
« In conclusione occorre trovare un successore. Abbiamo pregato W. Toscanini di dare il suo nome. Come hai visto ho cercato di lanciarlo in questi due ultimi numeri. Con quattro o cinque collaboratori (io compreso), e con tutti voi può fare un bel giornale. (…) Egli ha il consenso del padre. Del resto non lo impedirebbe più di quel che sta facendo inviando articoli e lettere a destra e manca. Ha 46 anni e può andare avanti con le sue gambe (13)».
In realtà, a distogliere Walter dall’assumersi tale impegno era stato lo stesso Salvemini due giorni prima, inviandogli il 12 dicembre una lettera nella quale aveva scritto:
«Se Pacciardi abbandona la direzione del movimento degli esuli antifascisti in America, io non so chi possa prendere il suo posto. Tu certo potresti fare al caso. Ma in Toscana dicono che “i figli dei padreterni muoiono tutti crocifissi”. Essere il figlio di un grand’uomo è un guaio irreparabile in politica. La politica è una sporca faccenda.
Chi vi s’impegna dentro deve prepararsi a sentir lacerato il proprio nome. Credi a me che ne ho sentito di tutti i colori in quarant’anni.
I colpi della politica colpiscono a fondo anche quando ci diamo le arie di non curarcene. Chi porta un gran nome non può esporlo alle sporche vicende della politica. Tu hai agito con gran buon senso tenendoti in disparte da quel pantano. Noi ci possiamo sguazzare perché siamo tutti nati sotto un cavolo e perciò non abbiamo nessun dovere verso i nostri antenati. Se tu mutassi linea di condotta oggi, commetteresti un grande errore. Pensa alle lettere di insulti che tuo padre riceverebbe per causa tua. Pensa quante sconcezze lancerebbe non contro te ma contro tuo padre(..). La vita di tuo padre sarebbe turbata e amareggiata. Forse la sua stessa arte ne soffrirebbe, quell’arte che esige serenità olimpica, la bella serenità che illumina la stessa michelangiolesca di tuo padre.
Insomma, se vuoi sapere francamente il mio parere, questo parere è negativo senza esitazioni.
E allora? E allora non c’è nulla da fare. Manchiamo di uomini. Accettiamo la realtà qual è, e ciascuno di noi faccia meglio che può, rinunziando all’impossibile (14)».
Questo passo costituisce una delle tante testimonianze di quanto l’esistenza di Walter fu sempre vissuta nel profondo travaglio personale di chi da un lato sentiva forte la volontà ed il desiderio di essere in prima linea nelle battaglie che sosteneva, ma dall’altro doveva fare i conti con l’enorme peso di un cognome che ne condizionò l’intera esistenza.
Al riguardo è particolarmente significativo quanto lo stesso Walter aveva scritto, sempre in merito alla vicenda, il 7 dicembre a Salvemini:
«The only thing that makes worry is the fact that my life has always been shaded with my name which does not really belong to me and is famed, not by my actions, but by my father’s deeds. It is always hard to make people understand that what I think and do is not governed by, or because I am the mouthpiece, of my father. Only persons who know me, after a while realise that I am not the stereotyped son of a great man and that I have enough energy, activity, and “horse sense” to be a plain, ordinary man (15)».
Inoltre, un altro aspetto della sua personalità che ne limitava fortemente la sua capacità di iniziativa, ed era la sua scarsa esperienza politica. Walter non riusciva a comprendere a fondo le ragioni delle divisioni sorte negli all’interno del movimento antifascista, ed auspicava sempre una utopica condotta unitaria per canalizzare tutti gli sforzi delle energie presenti in America.
E’ testimonianza di questo suo modo di pensare il fatto che egli fu uno dei pochi che ebbero la capacità di trattenere relazioni con tutte le componenti del fuoriuscitismo, da quella cattolica a quella ebraica (16), da quella liberal-democratica a quella comunista, finanche alla componente anarchica.
Gli sfuggivano talvolta le dinamiche che erano a monte delle accese diatribe tra gli esuli.
Il suo era un contributo genuino, spontaneo, pur sempre limitato dalle situazioni poc’anzi analizzate. E fu tale fin dagli inizi del suo arrivo negli Stati Uniti. In una lettera del giugno del 1940 alla sua segretaria Margherita Gaudiani, tenne a scrivere:
«Oltre la Mazzini Society abbiamo organizzato un Italian News Press Service che funziona già abbastanza bene. (…) Pregherò Wallerstein perché ci diano il mezzo di disincantare gli Italiani e gli Italo-Americani dalle meraviglie del Fascismo. La propaganda che da dieci anni hanno fatto qui non si può distruggerla in un giorno ed è dannoso prendere dei provvedimenti coattivi. Bisogna semplicemente combatterla (…) e spero che gli Americani non vorranno essere sordi ciechi e tonti come lo sono stati i Francesi (17)».
Cominciò a familiarizzare ed a scontrarsi con le divisioni del movimento da subito. Nel 1940, due anni prima del feroce scontro che vide contrapporsi Giuseppe Lupis e Gaetano Salvemini per la questione del periodico “Il Mondo” (18), di fronte all’insistente richiesta dell’esponente socialista di un suo contributo scrisse al suo amico, lo scrittore Alfredo Segre che intercedeva per il direttore del Mondo: «Ti prego di dire a Lupis che io non voglio assolutamente essere niente. Io odio tutte le associazioni, le società i titoli e sono un anarchico autarchico... io lavoro volentieri e pago di persona e di denari se posso ma voglio essere libero di non appartenere a nessuno e nessuna società... Io posso fare molto di più così, staccato, uomo volante di punta. L’unica volta che mi sono, per disgrazia mia e dell’Italia, messo in un’associazione è stata quella degli Arditi nel dopoguerra e ne è nato il fascismo e Mussolini...Quando poi penso che ho avuto nelle mie mani la vita di quel cane schifoso almeno una dozzina di volte dal famoso 15 aprile in poi mi sento rivoltare ed avrei voglia di mettermi in corpo quelle pallottole di rivoltella che non gli ho sparato nella schiena! (19)».
Venne ben presto a scemare anche l’entusiasmo che aveva animato la sua adesione alla Mazzini. Il 28 aprile del 1942, mentre maturava il dissenso tra Sforza e Salvemini nella Mazzini Society e le forze antifasciste si preparavano per il Congresso di Montevideo, dove nell’agosto del 1942 millecinquecento italiani liberi che risiedevano nelle Americhe si riunirono ed acclamarono Carlo Sforza “capo spirituale degli italiani antifascisti” ed in cui deliberarono la costituzione di un Consiglio nazionale italiano che avesse il compito di coordinare la lotta contro il fascismo e difendere gli interessi degli italiani antifascisti operanti all’estero, Walter manifestò sempre a Segre il suo profondo dissenso per quanto stava accadendo e condannava il “fare accademico” dei protagonisti di tali polemiche. Scriveva Walter: «...Tu sai con quanta riluttanza e solo cedendo alle tue pressioni io sia venuto ai convegni e abbia partecipato alla fondazione della Mazzini Society e come subito ti ho pronosticato l’inutilità (anzi peggio) di tutto quel movimento dal primo giorno che ho sentito tutti questi egregissimi signori arzigogolare e cavillare così squisitamente e futilmente... Ma io non posso vivere con gli accademici e tutte queste Arcadie politiche mi hanno sempre fatto vomito (20)».
Nonostante queste personale esternazioni con l’amico Segre, dal tono più informale rispetto a quello convenzionale che utilizzava con altri interlocutori, quali Salvemini e don Luigi Sturzo, l’impegno di Walter non venne mai meno, e tale carteggio rende giustizia alla sua opera di voler rappresentare un collante tra le anime dell’antifascismo democratico negli Stati Uniti e per le numerose iniziative benefiche che mise in atto in quegli anni per portare sostegno materiale ed economico all’Italia martoriata dal conflitto.
Particolarmente significativa la lettera che invia a Salvemini il 18 novembre del 1943, in cui dichiara di aver preso il coraggio di aver cominciato a scrivere a tutti i giornali che parlano dell’Italia, confidandogli in estrema sincerità di non averlo mai fatto prima per la seguente ragione: «I never did this because I always unwilling to use a name that is not mine and give the impression that I was taking advantage of being the son of such father». Tuttavia, era giunto a suo avviso il momento di superare questa sua imposizione, poiché in quel momento ognuno era chiamato a fare del suo meglio e «although it is a big effort for me to sign “Walter Toscanini” under a piece of paper, I will do this job from now on». Chiudeva, infine, con l’auspicio che tutti insieme si giungesse alla realizzazione di una dichiarazione di libertà per l’Italia, «following the same pattern as that of the Declaration of Indipendence (21)».
Un elemento di particolare interesse fornito dal seguente carteggio è indubbiamente rappresentato dal rapporto di estrema riverenza che Salvemini ha nei confronti di Arturo Toscanini.
Come tenne a scrivere lo stesso Salvemini nel suo Memorie di un fuoruscito (22), «il nostro più efficace argomento nella critica contro il fascismo era Arturo Toscanini. (…) Non scriveva e non faceva conferenze, ma la sua sola esistenza era un formidabile titolo di accusa contro un regime politico, il quale scacciava dalla patria un uomo simile (23)».
Tale annotazione di Salvemini conteneva in sé grandi elementi di verità.
Recentemente Piero Melograni ha scritto che «Toscanini non amava il divismo, ma suo malgrado finì per diventare un divo lui stesso. Perfino le sue stranezze ed il terribile carattere contribuirono a suscitare nel pubblico eccezionali attese (24)». E tale aspetto emerge in modo prorompente da questo carteggio.
Arturo Toscanini era un personaggio schivo, umorale, poco incline a calcare un palcoscenico se non quello di un teatro e sulla sua figura si era creata un’aura di mistero e di quasi sacralità, che ha contribuito senza ombra di dubbio ad alimentarne il mito. Basti considerare quanto scrive Salvemini il 28 ottobre del 1943 a Walter:
« Sarei felice di scrivere qualche volta al Maestro per ricevere sue parole di incoraggiamento. Ma ho una tale reverenza nei suoi confronti che quando penso a lui o lo vedo “la lingua divien tremando muta, e gli occhi non ardiscono di guardare” (25)».
La comunità antifascista presente in America, consapevole della rilevanza del nome di Arturo Toscanini, tenta in diverse occasioni di coinvolgerlo in iniziative che i differenti gruppi provano a portare avanti. Significativo esempio di ciò, è l’insistente pressione che Pacciardi, Bolaffio, Borgese e Salvemini esercitano sul Maestro per presiedere, anche in modo onorario, un comitato Free Italy (26). Di fronte alla disponibilità data da Arturo Toscanini a far parte del Comitato ma non a presiederlo, Salvemini scrisse a Walter: «Roberto Bolaffio mi scrive che il Maestro accetta di far parte del Free Italy Committee, ma non vuole essere il presidente, chè gli secca essere sempre impalato come un “grande uomo”. Io comprendo la sua ripugnanza contro l’impalamento. Ma ognuno deve portare il peso della propria personalità. E quando quella personalità è quella di Arturo Toscanini, il suo proprietario non può liberarsi di quel peso. Non c’è rimedio (27)”. La risposta di Walter fu immediata. A due giorni di distanza replicò allo storico pugliese nei seguenti termini: “Mio padre mi ha detto che non desidera essere presidente di alcun Comitato, né attivo né onorario; che in tutta la sua vita egli ha rifiutato di essere il Numero Uno, e che l’unica cosa che potete attendervi da lui è che sarà un “soldato” tra gli altri qualora raggiungeremo l’obiettivo di dar vita a questo nuovo gruppo (28)». Parole emblematiche che mettono la parola fine alla questione ed alle quali Salvemini replica con una laconica presa d’atto della volontà di Arturo: «Se il Maestro insiste a non voler essere presidente, non ci resta che obbedirgli, rispettando sempre la sua bella modestia. Fossero tutti gli italiani esenti dalla malattia della vanità (29)».
Ciononostante, sarebbe un errore sottovalutare la portata delle iniziative intraprese personalmente da Arturo Toscanini. Nel corso della sua vita, ogni sua scelta assumeva un fortissimo significato politico. Lo furono i suoi rifiuti di esibirsi in Italia ed in Germania, per protesta contro Mussolini ed Hitler, come lo furono le azioni che mise in atto negli Stati Uniti.
A tal proposito, nel ricordare il periodo americano di Toscanini, non si può fare a meno di considerare l’attività pubblicista che lo vide protagonista.
Il riferimento va in particolare all’editoriale comparso sulla rivista Life il 13 settembre del 1943 ed intitolato “To the people of America (30)”, firmato esclusivamente dal Maestro. Si tratta di un accorato appello al governo ed al popolo statunitense sull’atteggiamento da assumere dagli Alleati nei confronti del popolo italiano, che non fu nemico di quello statunitense ma che fu costretto in tale ruolo “da un uomo vizioso e malvagio, Mussolini, che ci tradì per oltre vent’anni”. Inoltre, la lettera rappresentava un atto di denuncia nei confronti del “Re d’Italia e del suo lustrascarpe Badoglio, entrambi uomini spregevoli” che a suo avviso non potevano “essere i rappresentanti del popolo italiano; non possono in alcun modo stringere pace con gli Alleati in nome dell’Italia, così tradita da loro”. Toscanini concludeva appellandosi al popolo americano perché non dimenticasse che gli italiani erano “stati i primi a sopportare l’oppressione di una banda tirannica e di criminali, sostenuta da quel “pusillanime e degenerato” Re d’Italia”. Espressione, quest’ultima, ripresa dall’Enrico VI di Sheakspeare.
La lettera, in realtà, uscì pochi giorni dopo che Badoglio aveva siglato con le forze alleate l’armistizio di Cassibile. L’idea di realizzarla era nata, invece, all’indomani del 25 luglio ed originariamente fu concepita ed elaborata da Gaetano Salvemini e Giorgio La Piana e, inizialmente, era diretta al Presidente degli Stati Uniti d’America, Franklin Delano Roosevelt. Vi sono tracce nel carteggio della corrispondenza tra i due storici e Walter in riferimento al testo, con le correzioni ed i suggerimenti che di volta in volta si trasmettevano per giungere al testo definitivo.
L’editoriale del Life non rimase un’iniziativa isolata. La gioia per la resa italiana e per la firma dell’armistizio fu di breve durata (31). Conosciuti i termini dell’armistizio (32), Toscanini non esita dal manifestare il proprio dissenso per la formula dell’”unconditional surrender”. Il 1 ottobre, appresa la notizia del ritorno di Carlo Sforza in Italia e del suo dichiarato sostegno al governo Badoglio (33), Toscanini manifestò la sua ira proprio nei confronti del diplomatico. La lettera, scritta evidentemente di pugno, esprime una forte carica emotiva e partecipativa di Toscanini alla vicenda. Si legge testualmente:
«Mio caro Conte Sforza,
Lei mi può considerare fin da questo momento traditore della mia Patria! Neppure per salvare l’Italia potrei venire a patti con chi l’ha vergognosamente tradita per più di vent’anni! Non potrei neppure rivolgere una parola, uno sguardo a quei due miserabili [il re e Badoglio]. Mi dispiace per Lei ... I nostri palati sono molto differenti ... Sarà politica intelligente ed avveduta la sua ma io la condanno e la disprezzo - e mi dichiaro contro Lei e il governo degli Alleati che ha pienamente dimostrato la sua completa ignoranza ed inettitudine a comprendere l’anima onesta e semplice degli italiani. (…) No, caro Conte Sforza, non credo, e ne sono sicuro, che gl’italiani, quei veri - quei buoni che come me darebbero la vita pur di salvare la loro Patria dal tragico flagello in cui si dibatte, possono essere contenti del di Lei atteggiamento - non lo credo - Lo sarà il governo degli Alleati - ma questo non ci ri-guarda ... In questo momento non ci devono essere mezzi termini! Bisogna essere o di qua o di là dal ponte! O col Re e Badoglio o contro essi - non c’è scampo ... Non sono le chiacchiere, siano esse pure intelligenti, che possono salvare il nostro disgraziato Paese, ma le armi ... Più tardi, a guerra vinta, il popolo italiano si sceglierà la forma di governo che crederà opportuno - Allora Lei potrà essere veramente di grande utilità - ma per carità non si lasci adescare dalla disastrosa politica degli Alleati.
Scusi il mio sfogo, ma non potevo farne a meno - se non volevo scoppiare di rabbia e di dolore ... (34)».
Il periodo in esame rappresenta quello in cui la vicinanza tra i Toscanini e Salvemini è più forte e sentita, e quello più ricco di lettere e spunti nel carteggio che segue. Le lettere del 1943 e del 1944, per il loro contenuto e gli argomenti che si affrontano, testimoniano indubbiamente in modo incisivo dell’impegno politico e civile dei protagonisti, nonché delle battaglie che essi conducono dalle colonne dei giornali ed all’interno della comunità americana. Dal 1945 al 1948 abbiamo una corrispondenza fondamentalmente privata, sebbene non manchino numerosi elementi di spunto e di riflessione sulla loro attività negli Stati Uniti, in particolare riferimento all’organizzazione di iniziative per raccogliere aiuti materiali e finanziari da inviare in Italia.
Il 1944, pertanto, fu un anno di svolta per la comunità degli esuli e le conseguenze dell’8 settembre ebbero riflessi importanti sui fuorusciti. Una parte significativa di questi, considerava un errore imperdonabile la decisione degli Alleati di continuare a dialogare con il re e Badoglio (35) e su questo aspetto condussero una fervente campagna, che si pone nel solco della teoria salveminiana della volontà alleata di far sopravvivere un «fascismo senza Mussolini (36)». Su questo terreno, un gruppo che potremmo definire di ispirazione democratico-repubblicano, e che accomunava personalità quali Salvemini, Toscanini, Pacciardi, Venturi, Borgese e La Piana portò avanti una sentita battaglia sulle colonne di Italia Libera (37) e sui principali quotidiani statunitensi. In realtà, come osserva Antonio Varsori, gli esuli democratici e repubblicani, non seppero mai «avanzare realistiche soluzioni; essi al contrario si arroccavano su una posizione di condanna, moralmente giusta quanto politicamente sterile, sia delle scelte anglo-americane, sia dell’azione di Badoglio e il re (38)».
Una testimonianza significativa di ciò è rappresentata da una lunga missiva inviata da Gaetano Salvemini direttamente ad Arturo Toscanini, e datata 2 novembre 1943.
Nel settembre 1943 Salvemini aveva resa pubblica la sua idea dell’abdicazione del Re e delle dimissioni di Badoglio (39) e nell’ottobre, in un lungo articolo pubblicato da La Controcorrente, aveva espresso in via preliminare la sua ipotesi della reggenza, che prevedeva le dimissioni del Re e di suo figlio e la salita al trono del figlio di appena sei anni di Umberto II, il quale sarebbe stato affiancato da un reggente, che Salvemini individuava nella figura di Benedetto Croce.
Nella lettera inviata a Toscanini, fornisce in modo analitico i dettagli della sua proposta del “Consiglio di Reggenza”, che doveva funzionare come quanto accaduto nel 1918 in Germania dopo l’abdicazione di Guglielmo II, con Badoglio che ricopre il ruolo del principe Max von Baden che trasmise i suoi poteri al cancelliere Ebert, nel caso italiano rappresentato da Benedetto Croce.
Sulla questione Salvemini richiede a Toscanini una solerte risposta, sollecitandolo, tra l’altro, a dare lumi sull’atteggiamento che loro dovranno assumere nel caso l’ipotesi potesse andare a buon fine. Nel testo della lunga lettera si legge: «Su quanto precede io ho idee sicure. Ma qui cominciano i miei dubbi. Supponiamo che quelle idee siano respinte – e vi sono 99 probabilità su 100 che siano respinte e che Sforza combini un “pateracchio” con l’abdicazione del Re e di suo figlio, ma con un “Consiglio di Reggenza” o qualcosa di simile, in cui entrino Badoglio, Croce e, naturalmente, Sforza; in questo caso quale atteggiamento dobbiamo prendere? Dobbiamo assumere un atteggiamento di intransigenza negativa fino alla fine? Dopo tutto gli italiani non se ne possono stare con le mani in mano mentre i tedeschi sono ancora in Italia. E poi sparito il Re, la causa principale del disonore nato dalla violazione del trattato di alleanza colla Germania, sparirà. Non sarebbe allora per noi il caso di riconoscere il dovere di cooperare fosse pure con gente in cui avremo scarsa fiducia? (40)».
La reazione dei Toscanini all’ipotesi formulata da Salvemini non si fa attendere. Walter la definisce “really funny (41)”, mentre in riferimento ad Arturo gli comunica che il padre «cannot reconcile the compromise of establishing a regency with a boy of six years (42)».
La condotta unitaria del gruppo, tuttavia, prosegue e porta alla realizzazione di due accorati appelli con i quali si richiede un cambio della politica alleata nei confronti dell’Italia. Il primo, intitolato Freedom for Italy now (43), pubblicato il 6 marzo del 1944 sull’Herald Tribune ed il secondo An Italian Manifesto – Six eminents Italian expatriates condemn allied policy in Italy and demand a rebirth of freedom (44) pubblicato nel maggio dello stesso anno sul Life portano entrambi la firma di Giuseppe A. Borgese, Giorgio La Piana, Randolfo Pacciardi, Gaetano Salvemini, Arturo Toscanini e Lionello Venturi.
Il Freedom for Italy now è un sentito ed accorato atto di accusa al cosiddetto “discorso della caffettiera” pronunciato da Winston Churchill alla Camera dei Comuni il 22 febbraio del 1944 (45), includente la richiesta alla opinione pubblica americana che i poteri della monarchia venissero conferiti ad un governo provvisorio, si promuovesse l’organizzazione di un esercito di volontari che combattesse sotto la bandiera dell’Italia libera e, infine, che al termine della guerra un’Assemblea Costituente fosse chiamata a decidere il nuovo sistema di governo. In polemica con Salvemini, don Luigi Sturzo si rifiuta di sottoscrivere l’appello (46).
Nel Manifesto, si continuava a condannare la politica alleata e si invitavano gli anglo-americani a non sostenere più né il re né Badoglio. Uscì sul numero di Life del 12 giugno, ma era stato composto in realtà prima, ossia nel Maggio 1944 (47). La datazione del documento ha una sua rilevanza, poiché il governo Badoglio cadde il 4 giugno, dopo la liberazione di Roma.
Un’ulteriore iniziativa che vede il diretto coinvolgimento degli esuli è rappresentata dalla proposta avanzata dall’Office of War Information (48) ad Arturo Toscanini di realizzare un film di propaganda che lo vedesse protagonista e destinato ad essere trasmesso in Europa.
Il titolo scelto per la pellicola è Hymn of the Nations (49), in quanto basato sull’Inno delle Nazioni di Giuseppe Verdi. Nelle intenzioni iniziali dei funzionari statunitensi nel film era prevista la presenza del solo Toscanini, ma il Maestro si rifiuta in quanto non vuole apparire come un eroe, ed è lui stesso a suggerire di includere altri antifascisti (50). Salvemini acconsente alla sua partecipazione e dal carteggio si possono costruire tutte le tappe che portano alla realizzazione del film. L’impresa risulta essere tutt’altro che semplice e Walter Toscanini, a cui viene delegato il compito di contattare gli esuli da coinvolgere, si ritrova a ricoprire un ruolo indubbiamente arduo, nonché a compiere delle scelte moralmente e personalmente difficili (51).
Gaetano Salvemini è tra quanti non rendono agevole il compito di Walter, ed in più occasioni mostra le proprie resistenze alla prospettiva di coinvolgere nella pellicola personaggi a suo avviso inadeguati a comparire al fianco di Toscanini, Borgese, Salvemini, La Piana, Pacciardi, A Prato, Natoli. Il suo attacco è diretto in particolare a Lupis e Sforza, nonché a quello che egli definisce il sudiciume italo-americano, rappresentato da Luigi Antonini, Generoso Pope e l’Ordine dei Figli d’Italia (52).
Walter dimostra nell’occasione una calma olimpica di fronte alle rimostranze di Salvemini, invitandolo da un lato a fidarsi dell’operato suo e del padre, in quanto a loro spetta l’ultima parola sulla realizzazione del film (53), dall’altro tende a sottolineare l’importanza dell’iniziativa,in quanto per «la prima volta (…) il governo degli Stati Uniti accetta di includere nel film un gruppo di tutti antifascisti che sono tutti contro la monarchia - e mi sembra che sia il caso di mostrarci uniti almeno in un film (54)». Una ricerca di una unità di azione che aveva rappresentato un liet-motiv dell’operato di Walter negli Stati Uniti, e che lo portò nel gennaio del 1944 a scrivere a Salvemini che «if we could reach, and it seems to me that it’s not impossible, a union similar to the one that five parties have reached in Italy, wrongly and rightly, it will be impressive (55)».
Nonostante il suo immancabile tono polemico, Gaetano Salvemini si mostrerà anche propositivo per la sceneggiatura del film, in particolare avanzando il suggerimento di realizzare una scena in cui un gruppo di operai ed intellettuali presentano al Maestro «un indirizzo di ringraziamento per quanto egli ha fatto in questi anni per rappresentare degnamente il popolo italiano all’estero e per incoraggiare col suo esempio gli italiani alla resistenza contro il fascismo (56)». Ne realizza anche il testo (“Al Maestro Arturo Toscanini – che nei lunghi anni della tirannia fascista – non disperò mai del popolo italiano – tenne fede incrollabile agli di Mazzini e di Garibaldi – rifiutò con animo indomato ogni compromesso coi vincitori dell’ora – rappresentò con austera dignità all’estero la nazione – oppressa ma non conquistata – marchiò col suo disprezzo il re pusillanime e degenerato – preannunziò la repubblica democratica italiana di domani – i sottoscritti – cittadini americani di origine italiana – e cittadini italiani – offrono la loro affettuosa riconoscenza), il quale ricalca la dedica rivolta al Maestro che apre il suo What to do with Italy (57). Sulla proposta, Walter deve nuovamente esprimergli la indisponibilità del padre ad apparire come un grande uomo, e a voler mantenere il profilo di uomo semplice che rifugge dalle celebrazioni sontuose riguardanti la sua persona (58). Salvemini accetta le obiezioni e le rassicurazioni sollevate da Walter ed acconsente alle riprese così come concordate, ossia mentre tiene una lezione ai suoi studenti ad Harvard.
Sul valore politico del film Walter non ha dubbi fin dall’inizio, infatti scrive a Salvemini che a suo avviso sta diventando politicamente importante più di quanto fosse nelle intenzioni dell’OWI (59), ed in una missiva diretta a don Luigi Sturzo, il quale anche compare nel film, scrive che «se gli Stati Uniti hanno desiderato questo film non è per… fare un atto di inimicizia contro di noi o per sorprendere la nostra buona fede ma forse per controbattere in Italia la propaganda inglese, monarchica e che so io (60)».
Il film, tuttavia, non fu licenziato facilmente. Dai carteggi di Walter con Borgese, Sturzo e Pacciardi emerge con chiarezza che nel marzo del 1944, quando venne mostrata ai protagonisti la prima versione, questi si ritrovarono in un contesto ritenuto inaccettabile. Erano due gli elementi che alimentarono le critiche degli esuli: da un lato il testo del commento che conteneva un’implicita accettazione dell’”unconditional surrender”, dall’altro la presenza al loro fianco di Carlo Sforza.
Su quest’ultimo punto Salvemini aveva già nelle fasi preliminari espresso il proprio dissenso ricorrendo anche ad una colorita osservazione (61). Allo stesso modo fecero Borgese e Pacciardi, il quale sottolineò come “un senso di giustizia vorrebbe che Sforza figurasse fra gli esuli italiani più eminenti che all’estero, con assoluta dignità fecero il possibile per contrastare l’azione del fascismo e per illuminare – ahimè senza successo – le democrazie. Ma Sforza oggi non è più esule. Egli è già elemento della politica italiana (62)”. Possibilista, invece, si dichiarò don Sturzo che etichettò la sua esclusione come «un atto di partigianeria (63)».
Walter motivò tale scelta in una lettera a Borgese, nella quale scrisse:
« (…) Nel primo incontro con quelli dell’OWI ho posto la condizione che altri antifascisti venissero inclusi nel film perché mio padre non vuole ridicolosamente passare per un eroe o l’unico che si è battuto contro il fascismo negli Stati Uniti. Potrà capire facilmente che il mio non è stato un compito facile, né è stato facile per quelli dell’OWI accettare la cosa. Quando ho parlato dell’inclusione di Sforza l’OWI mi ha detto che volevano fare un gioco leale ed includere tutti i cinque o sei personaggi di rilievo dell’antifascismo italiano, perché il film doveva essere il più possibile un documento della libertà e della ospitalità che gli italiani hanno trovato su queste sponde. Anzi, gli Stati Uniti hanno accettato di fare un film di propaganda che include le figure dell’antifascismo che hanno apertamente e duramente criticato la politica estera dell’amministrazione verso l’Italia e sono note per il loro atteggiamento contro la monarchia e il compromesso della reggenza, e in favore di un governo democratico del popolo (64)».
Alla fine, dopo incessanti trattative e lunghe mediazioni, prevalse la linea degli esuli e nel film scomparvero l’inconditional surrender ed il Conte Sforza.
Fu trasmesso in Europa e Sud America e, come scritto da Walter a don Sturzo, tradotto in ventidue lingue (65), anche se, come testimonia una lettera inviata da Ernesto Rossi a Gaetano Salvemini il 19 dicembre 1944, fu soggetto in alcuni casi alla censura (66).
Un elemento peculiare della personalità e del carattere di Gaetano Salvemini è stato rappresentato sicuramente dalla sua predisposizione a dire sempre, senza mezzi termini, quale fosse il suo pensiero. Una caratteristica che gli valse l’appellativo sarcastico de “la suocera”, con il quale, come afferma Arturo Colombo, «si tende a marcare i tratti del suo carattere – che era un caratterino o un caratteraccio – mai disposto a tenere la bocca chiusa né a far finta di non vedere o di non sentire quanto accadeva intorno a lui (67)».
Paradossalmente, ripercorrendo la biografia e le opere di Gaetano Salvemini, appare difficile non ritrovare momenti di frizione con le persone con le quali egli ebbe rapporti; ed anche con Walter vi fu un momento di incomprensione.
Il motivo fu rappresentato dal testo di una lettera indirizzata da Salvemini e La Piana nell’agosto del 1944 al presidente Roosevelt, nella quale si contestavano le modalità dell’organizzazione di aiuti all’Italia e le agenzie che erano preposte a tal fine.
In particolare, l’obiettivo della critica dei due storici era la neonata American Relief for Italy, una organizzazione nata con lo scopo di raccogliere gli aiuti assistenziali negli Stati Uniti diretti all’Italia e provvedere a farli pervenire nel Vecchio Continente. La sua creazione risaliva al marzo del 1944 (68), ad opera delle istituzioni preposte a tal fine (il President’s War Relief Control Board ed il National War Found) ne promossero la sua creazione. Venne designato primo presidente Myron C. Taylor, che allo stesso tempo ricopriva la carica di Rappresentante del Presidente degli Stati Uniti presso la Santa Sede. A lui venne affiancato un Board di quattro persone, John H. Hildring, Capo della divisione Affari dell’Esercito, un popolare attore hollywoodiano italo-americano, Don Ameche, un pedagogo famoso per le sue pubblicazioni sull’infanzia, Angelo Patri ed Arturo Toscanini. La scelta tra gli italo-americani era caduta su eminenti e popolari esponenti, per mettere a tacer sul nascere le polemiche sorte per coloro che dovessero farne parte. A questi si affiancò il giudice Giovenale Marchisio, con il ruolo di Vice-presidente esecutivo, ma che di fatto ricoprì il ruolo di presidente effettivo negli Stati Uniti considerato l’impegno diplomatico a cui era legato Myron Taylor.
Della organizzazione Salvemini e La Piana contestavano il monopolio che questa assunse nella gestione degli aiuti, senza tuttavia comprendere che il ruolo dell’American Relief for Italy era quello di coordinamento dell’attività della raccolta degli aiuti in un momento in cui vi era ancora la proibizione da parte dei governi alleati di trasmettere fondi in Italia e non vi era spazio sulle navi, come sentenziato dall’esercito, per trasferire indumenti. Solo all’indomani della liberazione di Roma cominciarono progressivamente a crearsi le condizioni per un miglioramento di tali vincoli.
Della loro iniziativa, Salvemini e La Piana tentarono di investire anche Arturo Toscanini, ignari probabilmente del suo ruolo. Bisogna, a tal proposito, evidenziare che il Maestro dava sempre la sua disponibilità allorquando si trattava di essere coinvolto in iniziative di carattere benefico volte alla raccolta di fondi per la sua amata patria, e non mancò in numerose circostanze di organizzare concerti di beneficenza destinati a tale scopo.
Alla lettera di Salvemini, Walter rispose illustrando lo stato della spedizione degli aiuti e della inopportunità in quel momento della loro lettera al Presidente Roosevelt. Le parole utilizzate da Walter ed il fatto che si esprimesse in prima persona (69), scatenarono la reazione seccata di Salvemini che gli rispose con una sprezzante battuta: «Noi decantavamo la opinione del Maestro e non la tua. Sembra che il Maestro sia diventato il tuo segretario e che tu sia autorizzato a pensare e decidere per lui (70)».
Sulla vicenda non esistono altre lettere ed il carteggio si interrompe per l’anno in esame per poi riprendere con lettere del 1945.
I toni sono concilianti, ed i due sembrano aver recuperato le ragioni della collaborazione che aveva alimentato la corrispondenza degli anni precedenti. Ne emerge il quadro di un rapporto umano ed amicale, di due persone accomunate dal medesimo interesse e la stessa passione per i libri, che entrambi divorano e si scambiano vicendevolmente.
Trovano spazio nelle ultime lettere le richieste di sostegno per Italia Libera, la cui attività sembrava ormai destinata a concludersi e che si spegnerà nel 1946, l’interesse per la situazione dei rifugiati italiani e dei prigionieri di guerra, nonché un accenno al ritorno di Arturo Toscanini in Italia per un concerto per l’inaugurazione de La Scala, gravemente danneggiata per un’incursione alleata nell’agosto del 1943 e per la cui ricostruzione aveva donato un milione di lire.
Dalle lettere emerge l’indisponibilità di Arturo Toscanini a voler eseguire la Marcia Reale «che ho visto che Parri può digerire o fingere di digerire ma non credo papà vorrà dirigere (71)!!!”, scrive Walter. La sarcastica replica di Salvemini non si fece attendere: “sono proprio contento di sapere che il Maestro non ha preso ancora nessuna decisione per quanto riguarda il ritorno in Italia. Onestamente, non credo che egli, nelle condizioni attuali, possa fare un lavoro utile. Come egli ha ben capito, dovrebbe andare a dirigere per una platea di nuovi arricchiti del mercato nero. Eppoi, non vedo come potrebbe inghiottire la Marcia Reale. Purtroppo Parri si è messo in una situazione disperata. Temo che non se la caverà (72)».
Arturo Toscanini tornerà in Italia nell’anno successivo, precisamente nell’aprile del 1946, una decisione maturata nel febbraio dello stesso anno quando fu annunciato che in Italia si sarebbe tenuto il referendum istituzionale. Ritornò per dirigere il concerto inaugurale della Scala ricostruita, e non aveva alcun obbligo di eseguire la Marcia reale che «sarebbe stata male accolta da molti e considerata addirittura come un’indebita interferenza nella campagna referendaria (73)».
Nelle loro ultime missive Walter e Salvemini si occupano della questione di Trieste e della missione compiuta negli Stati Uniti dal Comitato giuliano guidato dal professore Diego De Castro, per sensibilizzare l’opinione pubblica americana alla causa, nonché della richiesta di un finanziamento richiesto da Amelia Rosselli per la Normale di Pisa. Il Maestro versa duecento dollari, chiedendo di mantenere l’anonimato sulla sua donazione.
Naturalmente anche l’Italia e la prospettiva di un rientro divengono oggetto della loro corrispondenza epistolare. Nell’ottobre del 1946, durante un soggiorno in Italia, Arturo chiede informazioni a Walter su Gaetano Salvemini, argomento di discussione con numerose persone incontrate nel corso del suo viaggio, e sull’eventualità di un suo ritorno in patria. Walter riporta a Salvemini di tale richiesta, comunicandogli di aver spiegato al padre «che Lei scoppierebbe dopo una settimana o la farebbe a cazzotti con tutti (74)». Lo storico risponde a Walter annunciandogli di aver in progetto di effettuare un viaggio nell’estate successiva (viaggio che effettivamente farà nell’agosto del 1947 e che rappresentò il suo ritorno in Italia dopo oltre un ventennio vissuto da fuoruscito) ma di condividerne la sua osservazione. Si legge in una lettera inviata il 4 novembre 1946: «Faccio conto di andarvi l’anno venturo in estate e in autunno. Ma prevedo che, come tu scrivi la mia dimora sarà assai breve. Ci vado proprio per rendere tranquilla la mia coscienza e per accontentare gli amici che mi domandano perché non vado e quasi mi rimproverano come disertore. Andrò, vedrò, mi dichiarerò sconfitto e me ne ritornerò in America con le pive nel sacco (75)».
Il carteggio si interrompe nell’aprile del 1948, ossia prima del decreto legge emesso dal ministero De Gasperi il 5 novembre 1948 con il quale veniva restituita la cattedra a Gaetano Salvemini e che sanciva il suo definitivo ritorno in Italia, avvenuto nel 1949 (76). E il destino volle legare Arturo Toscanini e Gaetano Salvemini nella data della loro scomparsa, avvenuta per entrambi nel 1957 (77).
Non vi sono tracce di una continuazione di rapporti tra Gaetano Salvemini e Walter Toscanini dopo il 1948. Il loro legame era stato negli anni della guerra e dell’immediato dopoguerra cementato da comuni ideali ed anche da una certa affinità di vedute. Due passi tratti dalle lettere di Walter esplicitano bene il carattere peculiari del suo rapporto con Salvemini. Nel primo egli si lascia andare ad uno sfogo, che è esplicita confessione del suo complesso paterno e delle difficoltà che a lui derivavano da ciò nell’azione politica:
« Mio padre è fortunato perché lui è andato da casa a teatro, si è ingolfato nella sua musica ed ha avuto ben pochi contatti con il mondo esterno…. Ma io che ci ho vissuto in mezzo o che gli ho fatto da paravento e da scudo più che ho potuto qualche volta, non ne potevo proprio più ed ho avuto un bel da fare per essere diplomatico e mantenere i nervi a posto (78)».
Nel secondo una felice metafora delinea invece la natura dei suoi rapporti con Salvemini:
« My dear Salvemini,(..) let me first tell you how much I love you. To me you are just like a sky full of clouds and electricity but instead of bringing terror and ruins you bring the good, necessary rain (79)».
La metafora delinea anche con efficacia e gentilezza quello che era un tratto costante di Salvemini, la sua irruenza esplosiva, che si frangeva in tanti minuti frammenti per poi ricomporsi, quando prendeva il sopravvento la ragionevolezza e quel senso politico che non gli mancava, anche se a volte tardivamente, dopo che alcuni guasti si erano verificati. Walter Toscanini era a queste cose predisposto più di altri dal suo rapporto con il padre e ciò facilitò certamente la felice collaborazione che tra i due corse in quegli anni e che questo carteggio testimonia.
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(1) Tra le principali opere, ricordiamo C. SFORZA, L’Italia dal 1914 al 1944. Quale io la vidi, Mondadori, Roma, 1944; L. STURZO, La mia battaglia da New York, Garzanti, Milano, 1949; M. SALVADORI, Memorie di un liberale – Resistenza ed azione, Laterza, Bari, 1951. Ristampa: Bastogi, Foggia, 1990; A. GAROSCI, La storia dei fuorusciti, Laterza, Bari, 1953; G. SALVEMINI, Memorie di un fuoruscito, Feltrinelli, Milano, 1965; A. DONINI, Sessant’anni di militanza comunista, Teti, Milano, 1988; A. ROSSELLI, Memorie, Il Mulino, Bologna, 2001.
(2) Sul periodo, A. VARSORI, Gli alleati e l’emigrazione democratica antifascista (1940-1943), Sansoni, Firenze, 1982; AA. VV., L’Antifascismo italiano negli Stati Uniti durante la Seconda guerra mondiale, Archivio Trimestrale, Roma, 1984; A. BALDINI, P. PALMA, Gli antifascisti italiani in America, 1942-1944 : la legione nel carteggio di Pacciardi con Borgese, Salvemini, Sforza e Sturzo, Le Monnier, Firenze, 1990; A. VARSORI, Roberto Lopez: l’impegno politico e civile, 1938-1945, Università di Firenze, Dipartimento di Storia, 1990.
(3) L. STURZO, op. cit., p. XIII.
(4) in G. SALVEMINI, L’Italia vista dall’America, prefazione a cura di Enzo Tagliacozzo, p. IX, Feltrinelli, Milano, 1969.
(5) Sulla vicenda umana di Arturo Toscanini, cfr. H. SACHS, Toscanini, EDT/Musica, Torino, 1978. Inoltre, F. SACCHI, Toscanini, Mondadori, Milano, 1951; L. FRASSATI, Il Maestro, Bottega d’Erasmo, Torino, 1967; A. DELLA CORTE, Toscanini visto da un critico, Studio Tesi, Pordenone, 1981.
(6) Cfr. H. SACHS (a cura di) Arturo Toscanini – Dal 1915 al 1946 – L’arte all’ombra della politica, EDT Musica, Torino, 1987, pag. 5.
(7) Sull’evento, cfr. L. BERGONZINI, Lo schiaffo a Toscanini – Fascismo e cultura a Bologna all’inizio degli anni Trenta, Il Mulino, Bologna, 1991. Di particolare interesse sull’argomento quanto dichiarato dallo stesso Toscanini all’Associated Press a commento dell’arresto nel 1945 del suo schiaffeggiatore, lo squadrista fascista Mario Ghinelli: «Avevo già dimenticato il nome dell’uomo che mi aveva leggermente ferito. Ma non posso dimenticare il nome del degenere re d’Italia che ha tradito il mio paese, che fu complice e sostenitore dei fascisti in tutti i loro crimini contro le libertà civili e che è uno dei maggiori responsabili della guerra sanguinosa e della rovina e miseria del popolo italiano. Sono sorpreso e disgustato che egli e la monarchia italiana abbiano trovato aiuto e protezione dagli alleati».
(8) H. SACHS (a cura di) Arturo Toscanini – Dal 1915 al 1946 – L’arte all’ombra della politica, op. cit, pag. 5.
(9) F. SUVICH, Memorie (a cura di Gianfranco Bianchi), Rizzoli, Milano, 1984.
(10) Per informazioni biografiche sulla vita di Walter Toscanini, cfr. P. VEROLI, Walter Toscanini, Bibliophile and Collector and the Cia Fornaroli Collection of the New York Public Library, in “Dance Chronicle”, Routledge Taylor & Francis Group, Volume 28, numero 3; 2005, pp. 323-344.
(11) Su questo aspetto, cfr. Walter Toscanini, lettera ad Alfredo Segre, 26 Settembre 1938; Walter Toscanini, lettera ad Alfredo Segre, no data [Ottobre]; Walter Toscanini, lettera ad Alfredo Segre, 8 Settembre 1945. Walfredo Toscanini Archive, New Rochelle, New York. Inoltre, Walter Toscanini, lettera ad Arnoldo Mondadori, senza data [Ottobre 1938]. Archivio Mondadori, Milano.
(12) Art. 1 Statuto della Mazzini Society
(13) A. BALDINI, P. PALMA, op. cit., pp. 273/274.
(14) Lettera n. 29.
(15) Lettera n. 27.
(16) Cfr. M. TOSCANO, L’emigrazione ebraica italiana, in Storia contemporanea. 19(1988), n. 1, p. 1287-1314.
(17) Lettera di Walter Toscanini a Margherita Gaudiani del 19 giugno 1940. Archivio Toscanini, New Rochelle, New York.
(18) Vedi lettera n. 5, e cfr. N. TORCELLAN, L’antifascismo negli Stati Uniti: “Il Mondo”, in AA.VV., L’Antifascismo italiano negli Stati Uniti durante la Seconda guerra mondiale, op. cit., pp. 315-330.
(19) Lettera di Walter Toscanini al Alfredo Segre, 15 giugno 1940, Archivio Toscanini, New Rochelle, New York.
(20) Lettera di Walter Toscanini al Alfredo Segre, 28 aprile 1942, Archivio Toscanini, New Rochelle, New York.
(21) Lettera n. 23.
(22) Gaetano Salvemini ci teneva ad essere definito fuoruscito, e non esule. Lo chiarisce nelle sue memorie, allorquando scrive: «Io ho sempre preferito dirmi ‘fuoruscito’, facendo mio un termine che i fascisti usavano per obbrobrio: fuoruscito, cioè uscito fuori dal mio paese per continuare coi mezzi, di cui potevo disporre, la resistenza che mi era divenuta impossibile nel mio paese», in G. SALVEMINI, Memorie di un fuoruscito, op. cit., p. 89.
(23) Ivi, p.178.
(24) P. MELOGRANI, Toscanini, Mondadori, Milano, 2007.
(25) Lettera n. 10.
(26) cfr. Lettera n.1, Lettera n. 27, Lettera n. 30, Lettera n. 35, Lettera n. 36, Lettera n. 38.
(27) Lettera n. 35.
(28) Lettera n. 36. Traduzione del curatore.
(29) Lettera n. 39.
(30) Documento n. 1.
(31) Arturo Toscanini dichiarò alla stampa l’8 settembre: «Sono sopraffatto dalla gioia. Le notizie della resa delle forze armate italiane è giunta così repentinamente che i miei pensieri sono come onde in un mare tempestoso. Posso solo dire: Italia benedetta infine sei libera di unirti agli Alleati che stanno lottando per mantenere viva la fiamma della libertà nel mondo», in H. SACHS (a cura di), Nel mio cuore troppo d’assoluto. Le lettere di Arturo Toscanini, Garzanti, Milano, 2003, pag. 545.
(32) Sull’argomento, cfr. E. AGA-ROSSI, Una nazione allo sbando: l’armistizio italiano del settembre 1943, Il Mulino, Bologna, 1998.
(33) A. VARSORI, Gli alleati e l’emigrazione democratica antifascista (1940-1943), Sansoni, Firenze, 1982, pp. 279-312.
(34) In H. SACHS (a cura di), Nel mio cuore troppo d’assoluto. Le lettere di Arturo Toscanini, op. cit., pp. 545-546.
(35) Sulla politica alleata, cfr. E. AGA-ROSSI, L’ Italia nella sconfitta: politica interna e situazione internazionale durante la seconda guerra mondiale, Edizioni scientifiche italiane, Napoli – 1985; E. AGA-ROSSI, La politica degli alleati verso l’Italia nel 1943 Il Mulino, Bologna, 1973; D. W. ELLWOOD, L’alleato nemico: la politica dell’occupazione anglo-americana in Italia, 1943-1946, Feltrinelli, Milano,1977.
(36) La definizione rimanda al primo capitolo del volume scritto da Salvemini e La Piana nel 1943, intitolato What to do with Italy, la cui versione tradotta è inserita nel volume G. SALVEMINI, L’Italia vista dall’America, voll. I e II, (a cura di Enzo Tagliacozzo), op. cit.
(37) A tal proposito afferma Enzo Tagliacozzo: «Attiva la partecipazione del figlio del Maestro Walter Toscanini. Egli era in contatto con Bolaffio e con lui manteneva i rapporti tra il Maestro e Salvemini. Questi si recava a visitare Toscanini a Riverdale accompagnato da Bolaffio. Difficile dire se gli scritti del Maestro ospitati da “Italia Libera” fossero di suo pugno. E’ probabile che vi fosse lo zampino di Salvemini e del figlio, e, comunque, riflettevano le idee comuni ai tre», in E. TAGLIACOZZO, Il gruppo dell’Italia Libera di New York tra il 1943 ed il 1945, in AA. VV, L’Antifascismo italiano negli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale, op. cit., pp. 386-387.
(38) A. VARSORI, L’armistizio e le forze politiche in esilio, in Otto settembre 1943 – L’armistizio italiano 40 anni dopo, p. 250, Scuola Militare dell’Esercito – Ufficio Storico, Roma, 1985.
(39) Su questa proposta, cfr. il lungo articolo scritto da Salvemini per “Controcorrente” nell’ottobre del 1943, intitolato: Quel che ci costano il Re e Badoglio, in G. SALVEMINI, L’Italia vista dall’America, op. cit., pp. 439-464.
(40) Lettera n. 13.
(41) Lettera n. 14.
(42) Lettera n. 15.
(43) Documento n. 2.
(44) Documento n. 3.
(45) Disse Churchill: «Quando occorre tenere in mano una caffettiera bollente, è meglio non rompere il manico finché non si è sicuri di averne uno altrettanto comodo e pratico, o comunque finché non si abbia a portata di mano uno strofinaccio». In G. DE ROSA, La caduta del fascismo in Italia, in Il Novecento, Minerva Italica, Milano 2002, pp. 211-212. Tali parole, riferite al governo Badoglio, erano in risposta alla richiesta del CLN dell’abdicazione del Re ed alla indisponibilità a collaborare con il governo Badoglio.
(46) Interessante quanto don Sturzo scrive a Mario Einaudi il 6 marzo 1944: «Mio caro Mario, ricevo solo stasera il NY Times del 4 c.m. e vedo la risposta di Baldwin. Scrivo subito la replica (…) Se credi che sarà meglio farla firmare anche a Sicca – Weiss e altri cittadini italiani, fallo pure. Dico cittadini italiani, perché mi sono rifiutato a firmare la protesta di Toscanini contro il discorso di Churchill perché vi erano le firme di altri cittadini americani »; il riferimento polemico è rivolto a Salvemini che agli inizi degli anni ‘40 aveva acquistato la cittadinanza americana, cfr. L. STURZO – M. EINAUDI (a cura di C. Malandrino), Corrispondenza americana 1940-1944, Olschki editore, Firenze, 1998, p. 324.
(47) Una copia del manifesto donatami dal figlio di Walter, Walfredo Toscanini, porta tale data. Su tale punto, Melograni scrive: «La rivista “Life” nel numero datato lunedì 12 giugno 1944, probabilmente uscito il 5 giugno e tipograficamente composto ancora prima, pubblicò il testo di un manifesto (An Italian Manifesto) sottoscritto da Salvemini, Toscanini e altri fuorusciti italiani, i quali continuavano a condannare la politica degli Alleati in Italia e invitavano gli angloamericani a non sostenere più né il re né il maresciallo Badoglio. Il governo Badoglio cadde il 4 giugno, quando Roma fu conquistata, ed ecco perché riteniamo che “Life” uscisse prima di tale data », cfr. P. MELOGRANI, op. cit., p. 189. La datazione del documento risolve il dubbio.
(48) Sull’OWI, cfr. A. M. WINKLER, The Politics of Propaganda: The Office of War Information, 1942-1945, New Haven-London, Yale University Press, 1978, e L. MERCURI, La quarta arma, Mursia, Roma, 1998.
(49) cfr. M. AFFINITO, La propaganda dell’Office of War Information e gli esuli antifascisti negli Stati Uniti: l’Hymn of the Nations, in CRAVERI P. E QUAGLIARIELLO G (a cura di), La Seconda Guerra Mondiale e la sua memoria, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2006.
(50) Scrive Walter: «Father does not want to be a “hero”, so he suggested that other strong anti-Fascists, like you, Borgese, Don Sturzo, Pacciardi, will be used in this film, to show that at least a branch of anti-Fascists are united and are doing their best to make the American people understand the danger and what Italy needs», Lettera n. 18.
(51) Walter Toscanini si sosfferma a lungo su ciò nella lettera a Salvemini. Cfr. Lettera n. 27.
(52) Cfr. Lettera n. 35
(53) Si veda sull’argomento la lettera n. 36.
(54) Lettera n. 33.
(55) Lettera n. 36.
(56) Lettera n. 31.
(57) Dalla prefazione (vedi pag. 9, nota 4): «Al Maestro Arturo Toscanini, che nelle ore più oscure dei delitti fascisti, del disonore d’Italia, della follia del mondo, rimase intransigentemente fedele agli ideali di Mazzini e Garibaldi, e con fede tenace anticipò l’alba del secondo Risorgimento italiano ».
(58) Sull’argomento, si veda la lettera n. 36.
(59) «It seems to me that little by little this film becomes more important politically than when it started in the mind of the O.W.I.», Lettera n. 28
(60) Lettera di Walter Toscanini a don Luigi Sturzo, 10 marzo 1944. Archivio Toscanini, New Rochelle, New York.
(61) «Sarebbe un grave errore mettere insieme nello stesso film Arturo Toscanini, La Piana, Lupis, A Prato e magari Valenti, Ascoli, Pavia, Antonini, Borghi ed omne genus musicorum. Ci mancherebbe solo Sforza che va a letto con Maria Josè », Lettera n. 29.
(62) In A. BALDINI, P. PALMA, “La guerra di Arturo”, L’Europeo, Aprile 1989, pp. 72-79.
(63) Lettera di don Luigi Sturzo a Walter Toscanini, 15 marzo 1944. Archivio Toscanini, New Rochelle, New York.
(64) A. BALDINI, P. PALMA La guerra di Arturo, cit., p.78.
(65) Lettera di Walter Toscanini a don Luigi Sturzo, 12 marzo 1944. Archivio Toscanini, New Rochelle, New York.
(66) Scrive Ernesto Rossi: «Volevo andare la scorsa settimana a Losanna per assistere ad una rappresentazione in cui la figlia di Toscanini aveva detto a Reale che, oltre a suo padre, avremmo potuto vedere te e Borgese. Avevo tanto desiderio di vedere come stai. Invece sono stato poi avvertito che la censura svizzera ha fatto togliere la parte del film in cui c’ervata te e Borgese. Pazienza», Lettera di Ernesto Rossi a Gaetano Salvemini del 19 dicembre 1944, in G. SALVEMINI, Lettere dall’America 1944/1946, Laterza, Bari, 1967, p. 72.
(67) A. COLOMBO, Cinque battaglie di Salvemini, in AA. VV., L’Antifascismo italiano negli Stati Uniti durante la Seconda guerra mondiale, op. cit, p.231
(68) cfr. E. DI NOLFO, Vaticano e Stati Uniti 1939-1952 (dalle carte di Myron C. Taylor), Franco Angeli, Milano, 1978.
(69) «Father has called my attention to the draft of the letter that you wanted to address to the President of the United States. I believe that you are completely wrong in urging any kind on this matter at the present time», Lettera n. 47.
(70) Sul finire della lettera, Salvemini, inoltre, scrive: «Nella tua lettera tu scrivi che vi sono molte cose che “non ti vanno e non sei disposto a lasciar passare né a tollerare”. Spiegati con qualche altro esempio, oltre quello della pubblicazione della lettera del Maestro, sul quale esempio, come ho detto, amerei conoscere l’opinione del Maestro oltre alla tua. Quando mi avrai detto quali altre cose ti hanno inquietato, vedrò se hai ragione o no. Sono sempre volenteroso di imparare. Ma in attesa che tu precisi le tue critiche, mi consentirai dirti che vi è una cosa che non mi va e che io non sono disposto né a lasciare passare né a tollerare. E questa cosa è l’arroganza che ti ha fatto pensare e scrivere queste ultime parole». Lettera n. 48.
(71) Lettera n. 69.
(72) Lettera n. 70.
(73) P. MELOGRANI, op. cit., p 192.
(74) Lettera n. 94.
(75) Lettera n. 96.
(76) cfr, G. DE CARO, Salvemini, p. 418, UTET, Torino, 1970.
(77) Toscanini morì a New York il 16 gennaio, Gaetano Salvemini il 6 settembre a Sorrento.
(78) Lettera n. 94.
(79) Lettera n. 36.
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