La lezione di Amendola di Stefano Folli [la Repubblica, 12 febbraio 2017]

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La lezione di Amendola di Stefano Folli [la Repubblica, 12 febbraio 2017]

La lezione di Amendola

di Stefano Folli

[la Repubblica, 12 febbraio 2017]

Carteggio Amendola 1925-1926La lezione di Amendola

di Stefano Folli

[la Repubblica, 12 febbraio 2017]

Le corrispondenze negli ultimi mesi di vita di Giovanni Amendola, tra il 1925 e il 1926, ci aiutano a capire la crisi della democrazia liberale davanti al fascismo e confermano che il politico napoletano era il più temuto da Mussolini, perché era l’unico capace di unire gli oppositori.

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Il 21 luglio del 1925 Giovanni Amendola, a Montecatini, subisce i manganelli degli squadristi e di lì a un anno morirà a Cannes anche per le conseguenze delle percosse subite. È uno dei momenti più drammatici della lunga stagione di violenze coincidente con la presa del potere del fascismo. Il cappio che si stringe intorno alla fragile democrazia liberale conduce alla soppressione della libertà di stampa e allo strangolamento del Parlamento. Amendola era il punto di riferimento indiscusso per chi non si arrendeva, nonché il capo ideale della secessione dell’Aventino, l’astensione dai lavori parlamentari decisa dai partiti d’opposizione, tranne i comunisti, dopo l’omicidio di Matteotti. Ma Amendola era anche la figura pubblica che più intimoriva Mussolini, forse l’unico in cui il nascente dittatore vedeva una guida in grado di aggregare il frastagliato fronte degli oppositori e quindi ricomporre un’Italia smarrita. Anche per l’assoluta ignavia della monarchia.
Si capisce allora l’amara ironia di Gaetano Salvemini, che all’indomani dell’aggressione di Montecatini scriveva all’amico: «Tutta la nostra vita rischia di consumarsi in deprecabili felicitazioni per essere stati bastonati ma non uccisi, incarcerati ma non mandati all’ergastolo. La vicenda comincia a diventar monotona. Ma consoliamoci pensando che nei prossimi anni - dico anni, e non mesi - (...) si sarà costituito in Italia un nucleo di persone degno di fiducia, su cui si potrà costituire qualcosa di nuovo nell’ora della crisi. Oramai, delle istituzioni tradizionali nella rimane più in piedi: tutto è distrutto moralmente nello spirito del nostro popolo».
Anche Salvemini dunque si rivolge ad Amendola come al punto di riferimento morale prima ancora anche politico intorno a cui edificare la nuova Italia. E la sua è solo una delle mille voci che prendono vita nel Carteggio 1925-1926 pubblicato da Rubbettino e curato da Elio d’Auria. L’opera, quasi ottocento pagine, restituisce per intero l’angoscia e il clima dell’epoca. Giorno per giorno s’intreccia la rete di relazioni di Amendola. I suoi interlocutori di penna sono tutti i protagonisti della vita pubblica, da Croce ad Albertini, da Nitti a Labriola, da Prezzolini a Turati, da Einaudi a V. E. Orlando, fino ad Ansaldo, Missiroli, Papini, Zanotti Bianco, Beneduce. C’è anche una missiva del giovane Ugo La Malfa che in quegli anni si avvicina alla politica proprio ispirandosi alla lezione di Amendola, attraverso l’Unione Democratica.
Ad Amendola guardano le figure di un’Italia liberale al tramonto, ma anche quanti per età e tenacia si preparano al lungo viaggio dentro il fascismo con la speranza della rinascita democratica. Egli è l’autentico intellettuale politico nel senso più moderno del termine, una sorta di uomo di confine fra due mondi destinati a collidere, armato solo della sua intransigenza e dei valori risorgimentali in cui si riconosceva. Non mancano fra i corrispondenti di Amendola coloro che si dispongono ad accettare il regime e i privilegi che ne deriveranno, tradendo l’amicizia personale. Anche questo, è inevitabile, fa parte della fotografia di quel passaggio storico. Ugo Ojetti, ad esempio, la firma di grande talento che diventa direttore del Corriere della Sera qualche anno dopo la defenestrazione di Albertini. E soprattutto Voli di Misurata, a cui Amendola indirizza una lettera al vetriolo per rimproverargli, dopo Montecatini, la mancanza di una parola di solidarietà, a causa di un’evidente codardia.
Questo volume del carteggio - il sesto - completa un’opera di notevole respiro che abbraccia l’intera vita di Amendola. In particolare, esso aiuta a riconsiderare il periodo dell’Aventino e a superare il giudizio liquidatorio che ne è stato dato in sede storica, come se si fosse trattato di un mero errore. Quando invece si comprende oggi come le circostanze imponessero un estremo sforzo per non disperdere le forze d’opposizione nell’attesa, purtroppo vana, di un passo decisivo de re Vittorio Emanuele. Oltre all’impegno del curatore d’Auria, va ricordato che il carteggio si è avvalso della collaborazione dei familiari viventi, i figli di Pietro Amendola. E giustamente si sottolinea il ruolo dell’Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d’Italia che si è assunta l’onere della pubblicazione.

   

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